Terminato l'effetto sorpresa dovuto allo sbarco in Sicilia e all'armistizio stipulato dall'Italia, l'avanzata delle truppe alleate incontra una fiera resistenza tedesca sulla Linea Gustav. La guerra sarebbe stata ancora molto lunga.
Conclusa la guerra nel Nord Africa, gli Alleati si apprestano a invadere l'Italia. Il 10 luglio del 1943 gli Alleati sbarcano in Sicilia: due settimane dopo, il 25 luglio, il Re Vittorio Emanuele destituisce Mussolini, incaricando il maresciallo Badoglio di avviare trattative segrete per l'armistizio, stipulato con Eisenhower l'8 settembre 1943.
L'Italia è ora spaccata in due: da una parte lo Stato Italiano, governato dal re e da Badoglio nel sud della penisola; dall'altra la neonata Repubblica Sociale Italiana, guidata da Mussolini, sotto il diretto controllo tedesco. L'esercito italiano, in assenza di ordini precisi, sbanda e gli Alleati riescono a sbarcare senza quasi incontrare resistenza a Salerno e a Taranto: si formano così due colonne, che tentano di risalire la penisola lungo le coste adriatica e tirrenica.
Anche i volontari dell'AFS, che in Italia saranno divisi in quattro plotoni, raggiungono le coste italiane. I plotoni A e B sbarcano a Salerno il 6 ottobre 1943 e si dirigono subito su Napoli, che era stata appena liberata: la città di Napoli sarà il primo teatro operativo per i volontari ambulanzieri, sia perché si trova a poca distanza dal fronte sia perché verrà sottoposta ai bombardamenti Tedeschi fino alla primavera del 1944. Requisita un villa in via Tasso, l'AFS vi stabilì la sede operativa, poi trasformata in convalescenziario: insieme alla Villa Le Querci a Firenze, in viale Michelangelo, divenuta sede dell'AFS dopo la liberazione della città, rimase nel cuore e nella memoria di molti ambulanzieri.
Terminato l'effetto sorpresa, l'avanzata degli Alleati viene frenata sia dai corpi speciali Tedeschi provenienti in forze dai Balcani sia dall'arrivo dell'inverno. I Tedeschi si riorganizzano intorno alla Linea Gustav: una linea fortificata che va dalla foce del Garigliano, al confine tra Lazio e Campania, fino a Ortona, sull'Adriatico, passando per Cassino. Un terreno impervio, che i Tedeschi imparano a sfruttare a loro vantaggio.
Gli Alleati e gli Ambulanzieri che li accompagnano vedono cadere a uno a uno pregiudizi radicati e facili speranze: la trionfale avanzata verso nord, accompagnata dagli evviva della gente, si trasforma in una estenuante guerra di posizione, combattuta in luoghi aspri e infidi; l'Italia, la terra del sole e del calore, si rivela un luogo freddo, dove piove quasi sempre e le strade si trasformano in torrenti di fango nei quali sprofondano tutti i mezzi militari, comprese le ambulanze.
I primi scontri importanti avvennero lungo il fiume Garigliano. Questa la descrizione del col. F.V. Allen, ufficiale di comando della 167 unità di ambulanzieri: «La battaglia del Garigliano si rivelò totalmente diversa da quella di El Alamein. Al posto della sabbia e del caldo, qui c'erano pioggia e freddo. Invece delle evacuazioni sulle lunghe piste del deserto, qui c'erano brevi e lenti percorsi su piste infide, col fango che arrivava sino all'asse dei veicoli».
L'ambulanziere P.B. Warren del Plotone A descrive una giornata tipica di quel periodo, all'inizio del 1944: «L'esperienza della nostra sezione era tipica del lavoro svolto dal Plotone: guidare 18 ore al giorno, spesso nel pieno di un attacco, attraverso sentieri fangosi, larghi a malapena per far passare due veicoli in senso opposto; restare presso le batterie di cannoni finché qualcuno veniva colpito e l'ufficiale medico sentenziava che "le ambulanze erano troppo preziose perché si rischiasse di perderle". Poi salire fino in cima, alle postazioni più lontane, stabilite per raccogliere i feriti lasciati dai barellieri. È stato in quel periodo, durante un attacco aereo, che l'ambulanza di C.S. Stewart è stata menzionata nel Bollettino Eighth Army News come "la prima macchina che si sia mai vista a Macchiagodena"».
Impossibilitati ad avanzare via terra, gli Alleati tentano uno sbarco sulla spiaggia di Anzio il 22 gennaio 1944: ancora una volta i Tedeschi sono presi alla sprovvista, ma le indecisioni del comando alleato si rivelano fatali e l'operazione si conclude con un mezzo fallimento. Bloccati a ridosso della costa, sotto il costante attacco dell'artiglieria tedesca, gli Alleati subiscono perdite ingenti.
«Prima non sapevo neppure cosa fosse, la paura», scrive E.O. Bowles, «intendo dire la paura in senso fisico. Si tratta di un'esperienza concreta, che rende insignificanti tutte le paure e le ansie di prima della guerra. Non è paura della morte o di qualcosa di tangibile: è semplicemente paura. Tutti qui abbiamo paura e non è un'emozione di cui vergognarsi. Il coraggio, dopo tutto, non consiste nell'assenza di paura, ma nella capacità di tener duro e fare il tuo dovere anche quando riesci a malapena a stringere il volante della tua ambulanza».
Questi volontari, fragili e impauriti, svolgono un servizio straordinario. Ecco la testimonianza del Maggiore W.J. Abel, ufficiale medico dell'esercito britannico: «La maggior parte di questi uomini non erano mai stati in azione prima, e nessun uomo ha guadagnato più meritatamente il nostro rispetto. Penso che l'aspetto più piacevole sia stato il clima di amicizia e cameratismo che ne è nato. Noi avevamo un piccolo MDS (Main Dressing Station, n.d.R.) in un acquitrino, circondato dalle armi da fuoco e sotto il costante tiro dell'artiglieria nemica. Nelle prime fasi non c'era tempo di scavare trincee e la vita era tutt'altro che rosea. I nostri amici - io li definisco così - erano sempre allegri e svolgevano il loro servizio nelle condizioni più impegnative a faticose. Mi viene in mente uno di loro, che era un filosofo. Avevo l'abitudine di fare delle visite al nostro CCP (Casualty Clearing Post, n.d.R.), che si trovava sotto il tiro costante dell'artiglieria, e lo trovavo seduto per terra a tener lezioni a un pubblico interessato, scrivendo sulla sabbia. Questo era quel tipo di sangue freddo che destava in noi massima ammirazione».